15 Nov 2025, Sab

Turandot

TURANDOT

di Giacomo Puccini

su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni

regia Carlo Antonio De Lucia

scenografia Daniele Piscopo
scenografia realizzata da “La bottega fantastica”

videodesigner Matthias Schnabel
lightdesigner Giuseppe Calabrò

Orchestra del Teatro Vittorio Emanuele
direttore Carlo Palleschi

Coro lirico “F. Cilea” diretto da Bruno Tirotta

Coro di voci bianche “Biancosuono” diretto da Agnese Carrubba

Opera in tre atti e cinque quadri, su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni, rimase incompiuta a causa della morte del compositore e in seguito fu completata da Franco Alfano.
La prima rappresentazione ebbe luogo nell’ambito della stagione lirica del Teatro alla Scala di Milano il 25 aprile 1926, con Rosa Raisa, Francesco Dominici, Miguel Fleta, Maria Zamboni, Giacomo Rimini, Giuseppe Nessi e Aristide Baracchi, sotto la direzione di Arturo Toscanini, il quale arrestò la rappresentazione a metà del terzo atto, due battute dopo il verso «Dormi, oblia, Liù, poesia!» (alla morte di Liù), ovvero dopo l’ultima pagina completata dall’autore, e, secondo alcune testimonianze, si rivolse al pubblico con queste parole: <Qui termina la rappresentazione, perché a questo punto il Maestro è morto>. Le sere seguenti l’opera fu messa in scena con il finale rivisto da Franco Alfano: si tratta del terzo e definitivo rimaneggiamento imposto ad Alfano da Toscanini che, sebbene contrariato, lo diresse per la seconda e terza rappresentazione del 27 e 29 aprile 1926, passando poi la bacchetta ad Ettore Panizza, tanto per quell’occasione (otto recite in totale) come poi nelle tre stagioni seguenti.

L’incompiutezza di Turandot è oggetto di discussione tra gli studiosi. Il nodo cruciale del dramma, che Puccini cercò lungamente di risolvere, è costituito dalla trasformazione della principessa Turandot, algida e sanguinaria, in una donna innamorata: c’è chi sostiene che l’opera rimase incompiuta non a causa dell’inesorabile progredire del male che affliggeva l’autore, bensì per l’incapacità o l’intima impossibilità da parte del Maestro di interpretare quel trionfo d’amore conclusivo, che pure l’aveva inizialmente acceso d’entusiasmo e spinto verso questo soggetto.

È certo, tuttavia, che Puccini considerasse la scena della morte di Liù come un finale soddisfacente, poiché la giudicava sufficiente a far intuire allo spettatore l’ovvio prosieguo della storia, ovvero il cambio di carattere di Turandot alla luce del sacrificio d’amore dell’ancella dello straniero che ambisce al suo cuore; in questo senso, l’opera è considerabile come narrativamente completa benché bruscamente interrotta.

Il soggetto dell’opera ha origini antiche e difficili da definire con certezza nello spazio e nel tempo. La prima menzione della principessa sanguinaria nella letteratura europea avviene nella raccolta I mille e un giorno di François Pétis de la Croix (1653–1713), che parla della storia come di origine cinese (studi filologici suggeriscono potrebbe essere invece di origine turca).

In Italia il soggetto è stato divulgato da Carlo Gozzi soprattutto grazie all’omonima fiaba teatrale (1762), che poi sarà oggetto di importanti adattamenti musicali, in particolare le musiche di scena composte da Carl Maria von Weber nel 1809 e la suite orchestrale op. 41 di Ferruccio Busoni, eseguita per la prima volta nel 1906 e poi convertita in opera lirica rappresentata nel 1917.

Fra tutte le varie fonti, il libretto dell’opera di Puccini si basa, molto liberamente, sulla traduzione di Andrea Maffei dell’adattamento tedesco di Friedrich Schiller del lavoro di Gozzi. L’idea per l’opera venne al compositore in seguito a un incontro con i librettisti Giuseppe Adami e Renato Simoni, avvenuto a Milano nel marzo 1920. Nell’agosto dello stesso anno, quando si trovava per un soggiorno termale a Bagni di Lucca, il compositore poté ascoltare, grazie al suo amico barone Fassini, che era stato per qualche tempo console italiano in Cina, un carillon con temi musicali proveniente da quel paese; alcuni di questi temi sono presenti nella stesura definitiva della partitura, in particolare la canzone popolare Mo Li Hua.

L’azione si svolge a Pechino, «al tempo delle favole» in 4 ATTI